Esaminati alcuni aspetti caratteristici delle cautiones iudiciales, giova ora spostare, momentaneamente, l’analisi sulle stipulationes praetoriae, al fine di individuare identità e differenze rispetto alle prime e di cogliere, da tale disamina, aspetti illuminanti sulla funzione e sulle modalità delle cautiones nel diritto classico (ringraziamo l’Avv. Davide Cornalba per il contributo).
Riguardo l’origine delle stipulationes praetoriae si è accolta, come argomentato in precedenza, la tesi della loro formazione successiva alla Lex Aebutia; va però ricordato che tale punto è stato ampiamente dibattuto dalla dottrina, non totalmente concorde con tale collocazione. Ad esempio, uno studioso illustre quale Von Woss, ne ha sostenuto la formazione pre-ebuzia: le stipulationes praetoriae sarebbero cioè create dal pretore mentre è ancora legato alle norme dello ius civile e quindi, pur volendone superare gli aspetti vieti, non può ancora adottare azioni di sua creazione. Questa tesi, sebbene affascinante, non è però del tutto esauriente come è dimostrato dal fatto che il pretore continuò ad utilizzare le cauzioni e persino ad introdurne di nuove, anche quando ebbe il potere di creare azione. Nettamente contrario all’origine pre-ebuzia è, invece, Jobbè – Duval certo che l’insorgere delle stipulationes praetoriae sia connesso alle grandi trasformazioni che il processo subisce con l’introduzione della suddetta legge.
Infatti è la Lex Aebutia (130 a.C. circa) che amplia i poteri del pretore – cittadino, che gli consente di creare procedure complementari volte a migliorare il sistema processuale. Ma, secondo Jobbè – Duval, è importante ricordare soprattutto, che tutti gli elementi propri delle stipulationes praetoriae sono basati sulla procedura formulare. Tale tesi, che ritengo valida e quindi condivisibile, non incorre in contraddizione lasciando aperta la possibilità che nella prassi della società romana, esistessero, già prima del periodo in questione, delle forme di stipulazioni prestate volontariamente dalle parti e dalle quali forse il pretore prese, talvolta, spunto per creare le vere e proprie stipulationes praetoriae, previste nell’editto e caratterizzantesi perché imposte dal praetor.
Qui, infatti, è in discussione l’origine delle stipulazioni pretorie in senso tecnico, che è diverso dal ricercarne forme embrionali, prive delle connotazioni tipiche di queste cauzioni. Se, dunque, possiamo ribadire la nostra convinzione sull’origine post – ebuzia delle stipulazioni pretorie, dobbiamo però anche chiarire che la loro formazione non fu contestuale, ma, verosimilmente avvenne in modo graduale, in base al sorgere di esigenze che richiedevano interventi diversi. In tal senso si pronuncia il Palermo e, in parte, in tal senso il Mozzillo ribadisce l’inesistenza di una categoria davvero unitaria di stipulationes praetoriae. Quanto alla natura, possiamo dire che la stipulazione pretoria era un negozio bilaterale solenne con cui una parte, su ordine del pretore, si impegna a tenere un dato comportamento al fine di evitare specifiche conseguenze lesive, o comunque svantaggiose, per la controparte, a favore della quale la cautio veniva prestata. Più precisamente, la stipulatio praetoria è cioè un contratto verbale che le parti pongono in essere, ex iussu praetoris, allo scopo di rafforzare un rapporto giuridico già esistente o di creare un’azione per tutelare rapporti sforniti di protezione giuridica. La funzione cautelare emerge dunque, dall’intento di proteggere un interesse assistito da una tutela non sufficiente o addirittura totalmente privo di tutela. Tali stipulazioni mirano percio’ ad un duplice scopo: da un lato, prevenire un danno eventuale come ad esempio la cautio damni infecti e la cautio usufructuaria, dall’altro, soddisfare un interesse non tutelato o insufficientemente tutelato, come ad esempio la cautio iudicatum so/vi e la cautio vadimonium sisti. Appare evidente che le stipulationes praetoriae come quelle iudiciales, sono caratterizzate dall’esigenza di cautelare, di proteggere colui che si configura come il soggetto più debole o più esposto di un rapporto giuridico. La differenza fra esse sta dunque nel soggetto che invita alla stipulatio (pretore; giudice ), nel relativo potere; nel momento in cui l’ordine viene dato (fase in iure; fase in iudicio) e nel tipo di situazione su cui si interviene. Le stipulazioni pretorie vemvano prestate m due modi: mediante repromissio (c.d. nuda cautio) o mediante satisdatio (cioè repromissio rafforzata da satisdatio) In tal senso si esprime Ulpiano in D.46.5.1.5. (Ulp.l. 70 ad.Ed.)11:
“Stipulationum istarum praetoriarum, quaedam sunt quae sadisdationem exigunt, quaedam nudam repromissionem, sed perpaucae sunt quae nudam repromissionem habent, quibus enumeratis, apparebit ceteras non esse repromissiones sed satisdationes”.
La repromissio è cioè una promessa verbale che opera in tutte le stipulazioni pretorie o sottoforma di” nuda repromissio” o rafforzata da” satisdatio “. Nel primo caso si parla semplicemente di repromissio, nel secondo semplicemente di satisdatio. In ambo le configurazioni risulta chiaramente la rilevanza di tale promessa che è l’elemento grazie al quale, nel caso il promittente non ottemperi all’impegno assunto, lo stipulante può agire in giudizio. Ma quando ricorrere alla repromissio e quando alla satisdatio?
Nel caso di rappresentanza giudiziale era necessaria la satisdatio come si evince da D.50.17.1 (Paul.l. 16 ad Plaut.)
‘‘Nemo alienae rei expromissor idoneus videtur, nisi si cum sadisdatione “; nel caso dei possessori di fondi sembra bastasse la mera repromissio, in tal senso D. 2,8,15: (Macer.l. 1 de appellationibus) “Sciendum est possessores immobilium rerum satisdare non compelli”.
Nei casi dubbi era comunque il pretore a stabilire in quale modo la promessa dovesse essere prestata. Va poi detto che alcune cauzioni potevano essere offerte tanto con la repromissio quanto con la satisdatio: è il caso della cautio ex operis novi nunciatione e della cautio damni infecti. Come per le stipulationes iudiciales, anche nel contesto delle stipulationes praetoriae si poteva però verificare l’ipotesi di inadempimento della cautio prestata o addirittura di mancata prestazione della stessa. Nel primo caso opera la stessa soluzione prevista per le cautiones iudiciales, ovvero la possibilità per la parte avversa al promittente, rivelatosi inaffidabile, di agire mediante una actio ex stipulatu. Nel secondo caso, invece, le soluzioni previste sono diverse: infatti, mentre la disobbedienza all’ordine del iudex comportava il capovolgimento dell’esito del processo, la disobbedienza all’ordine del praetor dava luogo a rimedi specifici ossia: la missio in bona, la concessione di un’actio ficticia, a denegatio actionis e la pignoris capio. La missio in bona era sicuramente il rimedio più importante nel caso di mancata prestazione della cautio damni infecti. D.39.2.4.1.(Ulp. ad Ed.):
“Si intra diem a praetore costituendum non caveatur, in possessionem eius rei mittendus est.”
In proposito si sono sviluppate molte opinioni sulla effettiva funzione della missio; alcuni autori, fra cui Scialoja ne hanno evidenziato l’aspetto coattivo volto cioè a far prestare la cauzione. Altri, come il Branca20 ne hanno sottolineato la connotazione riparatoria ed afflittiva; la missio è cioè costruita come pena, anche alla luce del carattere penale del più antico rimedio in materia, che era la legis actio damni infecti. La pena, peraltro, consisterebbe nel dover sopportare un dato comportamento da parte del soggetto verso cui doveva essere prestata la cauzione. Altri autori ancora, si sono concentrati, invece, sulla funzione di garanzia della missio, che sembra essere quella precipua; è questo l’orientamento seguito da Palermo Negro Le fonti infatti riferiscono di una ” custodia ” e di una ” observatio ” che non creano un vero possesso ma, che consentono una detenzione volta ” a garantire l’immesso per l’interesse minacciato “. In tal senso D.42.4.12. (Pomp.23 ad Muc.):
“Cum legatorum vel fidecommissi servandi causa, vel quia damni infecti nobis non caveatur, bona possidere praetor permittit, vel ventris nomine in possessionem nos mittit, non possidemus, sed magis custodiam rerum et observationem nobis concedi!. ”
La missio di cui stiamo trattando è la c.d. missio ex primo decreto, ma esisteva anche una missio ex secundo decreto che attribuva al soggetto immesso il possesso ad usucapionem, con la conseguenza che il soggetto obbligato ex cautione, avrebbe perduto la proprietà della res. Tale missio operava nei casi in cui la missio ex primo decreto fosse stata revocata e, comunque, solo in tema di danno temuto. Sempre a proposito della cautio damni infecti, altro rimedio era l’actio ficticia concessa, nel caso il danno si fosse concretamente verificato, contro colui che non aveva prestato la cauzione e non aveva sopportato la missio in possessionem. D.39.2.7. (Ulp. l.53 ad Ed.):
“In eum qui neque caverit, neque in possessione esse, neque possidere passus erit, iudicium dabo, ut tantum praestet, quantum praestare oporteret, si de ea re ex decreto meo, eiusve, cuius de ea re iurisdictio fuit, quae mea est, cautum fuisset.”
Nella concezione romana classica, per far sorgere una specifica responsabilità in capo ad una parte, occorreva sempre un atto volontario della stessa con cui si assumeva la responsabilità in questione. Ecco quindi che, nelle ipotesi in esame, il soggetto irrispettoso dell’ordine pretorile non si era assunto alcuna responsabilità e, perciò, unico mezzo a favore di chi aveva diritto alla cauzione, era che il pretore ricorresse ad una finzione giuridica, considerando avvenuta la stipulatio che, di fatto, non c’era stata. Grazie all’actio ficticia, si poteva agire contro la parte che non aveva prestato la cautio, come contro colui che l’avesse prestata. E’ tuttavia opportuno ribadire che perchè tale azione venisse concessa dovevano ricorrere due presupposti: la mancata prestazione della cauzione e la resistenza al decreto di immissione; per contro se, prima dell’avveramento del danno, veniva prestata la cauzione o si consentiva l’immissione, tale azione non era piu’ esperibile. Ulteriore rimedio alla mancata prestazione della cautio era la denegatio actionis operante soprattutto in relazione alla cautio legatorum servandorum causa. Tale cautio va prestata dall’erede a beneficio dei legatari che godono di un legato sottoposto a condizione o a termine. Così, nel caso nell’eredità non vi siano beni su cui si possa attuare la missio a favore dei legatari, il pretore li tutelerà negando all’erede le azioni contro i debitori ereditari, per concederle, invece, ai legatari stessi. In proposito D.36.4.10.: (Paul.l. 3 Sententiarum)
“Si nullae sint res hereditariae, in quas legatarii vel fideicommissarii mittantur, in rem quidem heredis mitti non possunt sed per Praetorem denagatas heredi actiones ipsi persequuntur “.