L’analisi del potere pretorile che precede, offre lo spunto per riprendere la comparazione con le cautiones iudiciales (vero fulcro della presente trattazione) e per esaminarne un aspetto nodale, cui si era accennato addietro: il potere del iudex di imporle. Mentre è logico immaginare un simile potere in capo al pretore, più difficile è ritenerlo attribuito al giudice privato, riguardo al quale il dilemma non consiste nella natura da riconoscersi al potere, bensì nell’esistenza dello stesso in capo ad un soggetto che, teoricamente, avrebbe dovuto limitarsi a decidere sulla base delle indicazioni giuridiche fornite dal praetor.
Suscita dunque interesse e curiosità la configurazione di un officium iudicis tanto forte da imporre cautiones che, in caso di mancata prestazione, comportano il capovolgimento dell’esito del processo; ma suscita interesse, soprattutto, il fatto che tale potere sia operante nel momento in cui il giudice ha già raggiunto il suo convincimento sulla questione. Aspetto davvero curioso e peculiare è cioè, che il giudice potesse richiedere la cautio, (e quindi, eventualmente, capovolgere il risultato processuale) quando tutto sembrava ormai chiarito, quando c’era già stata la litis contestatio, quando egli stesso aveva già operato le valutazioni del caso.
E’ quindi palese l’opportunità di procedere ora ad un’attenta analisi dell’officium iudicis, cominciando col chiedersi, come ha fatto la Giomaro, se il potere di imporre la cautio avesse o no dei riscontri nella formula, cioè se tale potere dovesse essere supportato ogni volta da “un’esplicita previsione del pretore, sulla base di una exceptio doli o di altra clausola inserita nella formula”.
Al riguardo le fonti sono piuttosto esigue e quindi, di per sé, non sufficienti per trarne considerazioni generali fondate; tuttavia, per completezza argomentativa, è necessario procedere al loro esame: D.21,2,65 (Pap. 1.8 quaestionum) “Rem hereditariam pignori obligatam heredes vendiderunt et evictionis nomine pro partibus hereditariis spoponderunt: cum alter pignus pro parte sua liberasset, rem ereditar evicit: quaerebatur an uterque heredum conveniri possit? Jdque placebat propter indivisam pignoris causam. Nec remedio locus esse videbatur, ut per doli exceptionem actiones ei qui pecuniam creditori dedit praestarentur, quia non duo rei facti proponerentur. Sed familiae erciscundae iudicium eo nomine utile est: nam quid interest, unus ex heredibus in totum liberaverit pignus an vero pro sua dumtaxat portione? Cum coheredis neglegentia damnosa non debet esse alteri”
In questo passo, Papiniano espone il caso della vendita di un bene, oggetto di comunione ereditaria, dato a pegno. Tale bene viene liberato, per la parte che gli compete, da uno dei comproprietari, ma il creditore pignoratizio ottiene la cosa. Ebbene in codesto caso, il giurista nega che, al comproprietario m questione, spettino delle azioni contro i coeredi e che, comunque, se ciò fosse stato possibile, lo sarebbe stato solo grazie ad un’exceptio doli. Da ciò la Giomaro deduce giustamente che la possibilità di ottenere la concessione di azioni, attuabile mediante una cautio ad actiones praestandas, poteva configurarsi solo se, nella formula dell’azione in atto, fosse presente una exceptio doli.
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Ciò porta a ritenere che la cautio ad actiones praestandas potesse essere richiesta solo laddove il pretore avesse espressamente attribuito al giudice tale potere
Analogamente D. 27,3,20,1 (Pap. l.2 resp.): “Non idcirco actio, quae post viginti quinque annos aetatis intra restitutionis tempus adversus tutorem minore pecunia tutelae iudicio condemnatum redditur, inutilis erit, quod adulescenti curatores ob eam culpam condemnati sunt: itaque si non iudicatum a curatoribus factum est, per doli exceptionem curatores consequi potuerunt eam actionem praestari sibi “.
Qui Papiniano espone il caso di un soggetto che, compiuti i venticinque anni, puo’ agire contro il suo tutore, condannato in passato, con un’actio tutelae, a meno di quanto avrebbe dovuto. E’ sottinteso che occorreva comunque la richiesta della parte interessata, affinchè venisse inserita la exceptio doli. Se a quel tempo erano stati condannati anche i curatori degli interessi del giovane, l’azione39 potrà essere ceduta loro solo in presenza di una exceptio doli. Questo ulteriore passo sembra supportare l’ipotesi che le cautiones iudiciales potessero essere imposte dal giudice solo in virtu’ della presenza di un’eccezione di dolo, che gli attribuiva cioè, un potere adeguato volta per volta. Eppure tale ipotesi non è accoglibile e i fondamenti a suo sostegno sono, a ben vedere, piuttosto evanescenti.
Dubbi sorgono già in relazione al testo in esame, che dovrebbe essere una delle prove più forti a favore della suddetta tesi, ma che è soggetto ad attacchi inerenti la sua classicità. Autori quali Beseler Levy Biondi sospettano infatti, che la parte inerente la necessità della presenza di una exceptio doli, sia un’aggiunta giustinianea. Ma, pur ammettendo l’autenticità del passo, risulta evidente che esso non è sufficiente per portarci alla conclusione suddetta. 39 L’azione qui in questione è un’actio iudicati.
Insomma, gli esempi succitati, cui si può aggiungere D.24,1,39 (lui. L.5 ex Minicio), sono indice di singole ipotesi, che per quanto sappiamo, possono essere del tutto isolate dalla prassi davvero in uso; si tratta cioè di elementi rarefatti che non possono assurgere al ruolo di prova per dimostrare la natura generale dell’officium iudicis. Sino a qui, dunque, non abbiamo elementi per ritenere che il potere del giudice di imporre cauzioni, gli fosse attribuito caso per caso. Né ci sono elementi sufficienti per giustificare l’applicazione delle cautiones iudiciales esclusivamente in relazione alle azioni di rivendica. Infatti, pur essendo acclarato tale connubio, vi sono fonti che testimoniano la presenza di cauzioni imposte dal iudex anche in un Giomaro:
“Vir uxori pecuniam cum donare vellet, permisit ei, ut a debitore suo stipuletur: il/a cum id fecisset, priusquam pecuniam auferret, divortium fecit: quaero, utrum vir eam summam petere debeat an ea promissione propter donationis causam actio nulla esset. Respondi inanem fuisse eam stipulationem, sed … si quidem pecunia exstat, vindicare eam debitor potest:sed si actiones sua marito praestare paratus est, doli mali exceptione se tuebitur ideoque maritus hanc pecuniam debitoris nomine vindicando consequetur. Sed si pecunia non exstat et mulier locupletior /acta est, maritus eam petet: intelligetur enim ex re mariti locupletior facta esse mulier, quoniam debitor doli mali exceptione se tueri potest”.
Ma procediamo con ordine: che la cautio iudicialis venisse applicata nell’ambito di un’azione di rivendica è fatto certo e ben documentato. Esso si spiega con l’operare, in tali azioni, della clausola restitutoria, o arbitraria, in virtù della quale il iudex vedeva “lievitare” il proprio potere, tanto da agire come meglio riteneva pur di risolvere la contesa legata al “restituere” – AVV DAVIDE CORNALBA. Molti studiosi hanno, percio’, scorto nel “restituere (e non nell’arbitrium iudicis) l’origine dell’ampio potere del giudice privato di imporre cautiones. Il Levy 45 , ad esempio, riconosce al giudice ampi poteri discrezionali, derivandoli proprio dal concetto classico di “restitutio” che, secondo lo studioso non indicherebbe la semplice riconsegna di una data còsa, bensì il ripristino di una situazione precedente. E, proprio per riportare la cosa allo stato passato, il giudice doveva valutare quello che secondo il suo parere, era lo status quo ante. Si evidenzia così che, nell’ambito delle azioni dotate di clausola restitutoria, è la “restitutio” e non l’arbitrium iudicis, vera fonte del potere del giudice. Levy: “Zur lehre von den sogennanten. Actiones arbitrariae” , Su una linea di pensiero sostanzialmente analoga si attesta il Chiazzese il quale, però, sottolinea che la suddetta discrezionalità del giudice, deriva sì da “restitutio”, ma intesa nella sua epifania più evoluta, risultato cioè di una lunga maturazione giurisprudenziale che l’ha portata dal significato di semplice restituzione della cosa (reddere rem) al significato di ripristino dello stato precedente.A suo dire, dunque, il concetto di “restituere” si amplia sempre più, ma non in forza dei poteri dell’officium iudicis bensì grazie ai progressi della giurisprudenza. Di taglio diverso è il pensiero della Giomaro, la quale preferisce concentrarsi sul vero significato, sul reale ruolo dell’arbitrium (od officium) iudicis, essendo fermamente convinta che già al47 giudice classico spettasse un’effettiva discrezionalità e non un angusto e precostituito ambito di valutazione.